Il monitoraggio radar durante gli interventi di protezione civile
Nicola Casagli, nato a Livorno nel ’65, ordinario di Geologia Applicata presso l’Università di Firenze, nel mese di maggio ha tenuto una relazione sul tema “Il monitoraggio radar durante gli interventi di protezione civile: dal caso del naufragio della costa Concordia, al crollo del muro sul Lungarno Torrigiani a Firenze, a quello dell’Hotel Rigopiano”.
Di seguito proponiamo alcune interviste al Professore, reperibili sul web, che riassumono i temi trattati durante l’intervento.
Cinquanta giovani ricercatori dell’U-niversità di Firenze, per lo più precari, hanno messo a punto il ‘Multi-Hazard Information Gateway’, un cervellone in grado di prevedere frane. Si tratta di geologi, ingegneri, fisici, informatici e laureati in lingue, lettere e storia dell’arte, guidati da Nicola Casagli.
“Ci abbiamo messo tanto impegno – spiega il docente – dopo mesi di lavoro è venuta fuori una scoperta di cui siamo orgogliosi: un algoritmo che incamera informazioni sulle aree a rischio frana e fornisce previsioni sui movimenti della terra. Obiettivo: proteggere e dare maggiore sicurezza ai cittadini. L’idea è nata all’isola d’El-ba. Stavamo seguendo una zona a rischio quando i sensori installati hanno fatto scattare l’allarme rosso. Così abbiamo avvertito le autorità che hanno chiuso un tratto di strada. Dopo una settimana quel tratto di strada ha subito un profondo avvallamento. È la prima volta al mondo che una cosa del genere accade”.
Intanto occorre dire che funziona con differenti modalità e grado di precisione, su scala nazionale, regionale e locale. Funziona aggregando i dati di migliaia di sensori distribuiti sul territorio, migliaia di notizie recuperate da web, migliaia di immagini radar acquisite da sensori satellitari o a terra, con aggiornamenti ogni 15 minuti, tutti i giorni, 24 ore su 24. Serve, dice il professore, a prevedere con una certa precisione il rischio frane. “Sì, è utile a migliorare le attuali capacità di monitoraggio dei dissesti associati a movimenti del terreno, quali frane, colate detritiche, subsidenza e sprofondamenti del suolo. È bene sottolineare che la previsione e il monitoraggio degli eventi non servono a niente, se queste attività non sono strettamente legate a piani di prevenzione. Dare allarmi serve solo se le comunità locali e i cittadini sono informati sui rischi del territorio, sulle incertezze, sulle norme di comportamento. Servono degli adeguati Piani di Protezione Civile a livello comunale che, peraltro, sono previsti dalla legge. Questi piani, però, non devono essere intesi come l’ennesima pratica burocratica, bensì come strumenti condivisi e operativi, da mettere continuamente a punto anche con esercitazioni pratiche. Un’altra cosa: è necessario essere consapevoli che le frane, come altri rischi naturali, sono eventi ad elevatissimo grado di incertezza. Una previsione perfetta, senza falsi allarmi, è semplicemente impossibile. Possiamo fare previsioni migliori combinando tecnologie nuove in modo originale, ma non sarà mai possibile avere delle previsioni certe e infallibili.”
Come si è arrivati al MIG?
“MIG è stato sviluppato da noi dell’Università di Firenze, tenendo conto delle migliori esperienze condotte anche da altri centri di ricerca in Italia e all’estero. Prevedere le frane era considerato impossibile fino a pochi anni fa. Monitorare il territorio era molto difficile e costoso. Di fatto non esistevano strumenti idonei per questi scopi. Negli ultimi anni c’è stato, in altri contesti, un enorme sviluppo tecnologico nel campo delle previsioni meteorologiche, nelle misure, nei sensori, nelle tecniche di mappatura via web, nelle tecnologie di osservazione della Terra con i satelliti. La nostra idea innovativa è stata quella di mettere insieme metodi e tecnologie differenti, sviluppati in altri contesti, per un obiettivo comune: migliorare le capacità previsionali e di monitoraggio dei dissesti del territorio”.
Quindi è uno strumento originale?
“Nel suo complesso MIG è assolutamente originale perché, come ho spiegato, è una combinazione di diversi moduli che operano su scala diversa e con strumenti e tecnologie diversi. Per ciascuno dei singoli moduli esistono, in Italia e all’estero, strumenti simili. La forza del nostro sistema è l’aver messo insieme tutti questi strumenti”.
In altri Paesi quindi non c’è niente di simile?
“Il MIG è un sistema in corso di sviluppo, nato in Italia e limitato, per ora, al contesto nazionale. Sembrerà strano, ma l’Italia è il Paese all’avanguardia nel mondo per la ricerca e lo sviluppo nel settore della previsione dei rischi idrogeologici. E questo grazie a investimenti lungimiranti fatti, a partire dagli anni ’70, dal CNR e dalla Protezione Civile. La Protezione Civile italiana è la migliore del mondo proprio perché, fin dalla sua nascita, si è sempre affidata al supporto tecnico e conoscitivo della comunità scientifica. In altri Paesi non esistono cose simili”.
È costato molto mettere a punto il cervellone?
“Tanta fatica, tanto lavoro e tanto entusiasmo da parte di un team di giovani e giovanissimi ricercatori, purtroppo in gran parte precari. Tutti i ricercatori del nostro gruppo sono stati selezionati esclusivamente per le loro capacità e il merito. Tutti vengono mandati all’estero per specializzarsi nei migliori centri di ricerca internazionali. Tutti svolgono, o hanno svolto, almeno un percorso di specializzazione post laurea con il dottorato di ricerca. Un contributo fondamentale è stato dato dal Dipartimento della Protezione Civile, dai dirigenti e dai funzionari dell’Ufficio Rischio Idrogeologico. Sono loro che ci hanno dato l’idea di questo progetto e ci hanno stimolato a realizzarlo. I finanziamenti della Protezione Civile sono stati ovviamente determinanti. In questo campo solo la Protezione Civile investe in ricerca, sviluppo e innovazione. Non si capisce perché né il Ministero dell’Università e della Ricerca né la Commissione Europea abbiano mai inserito tali tematiche nei loro piani di sviluppo della ricerca, tranne episodiche eccezioni”.
E la mappa tracciata dal MIG con le zone a rischio alluvioni?
“Il sistema è in uso, a costo zero, già da tre anni, in modalità sperimentale, presso il Centro Funzionale del Dipartimento della Protezione Civile. Alcune delle componenti sono utilizzate anche dalla Protezione Civile di alcune Regioni, come Toscana ed Emilia Romagna. È destinato al Servizio Nazionale della Protezione Civile che, in base alla legge istitutiva numero 225 del 1992, prevede la collaborazione tra Stato, Regioni, Province, Comuni, strutture operative nazionali e regionali, organizzazioni di volontariato e comunità scientifica”.
Sono arrivate richieste anche dal-l’estero?
“Il sistema MIG è attualmente strutturato solo per il territorio italiano. Con piccole modifiche potrebbe essere adattato ad altri Paesi”.
Altre applicazioni del Mig in futuro?
“Mah, penso, per esempio, che potrebbero essere interessate all’utilizzo le assicurazioni o le società immobiliari. Il Mig potrebbe essere soggetto a costi di utilizzo in forma che, al momento, non so prevedere. Noi abbiamo sviluppato il sistema per la Pubblica Amministrazione e non abbiamo pensato per ora ad altre applicazioni”.
http://www.magazine.tipitosti.it/articolo/multi-hazard-information-gateway/Pionieri
Col movimento della neve si aziona una sirena
È un ‘radar doppler’, il sistema di monitoraggio che da sabato pomeriggio alle 18 monitora i movimenti sulla montagna intorno all’hotel di Rigopiano per proteggere i soccorritori che continuano a lavorare per individuare ed estrarre i dispersi. Se una massa di neve o roccia dovesse muoversi i soccorritori sentirebbero una sirena e vedrebbero accendersi un segnale luminoso. Avrebbero circa un minuto per abbandonare le loro postazioni. Il radar è stato installato 150 metri più a monte del resort.
Lo spiega il professor Nicola Casagli dell’università di Firenze, esperto di sistemi di monitoraggio e frane, centro di competenza della Protezione civile per il monitoraggio della Concordia e in altre decine di crisi in Italia, tra cui, recentemente, il crollo della strada in lungarno Torrigiani, a Firenze.
“Nel momento in cui il radar dovesse registrare un movimento, si attiverebbero un segnale luminoso e una sirena per mettere in allerta le 150 persone che operano lassù“, spiega il professore.
Costa Concordia, un anno fa la tragedia del Giglio: mare e relitto monitorati 24h su 24
Compie un anno il coordinamento delle attività di monitoraggio delle deformazioni del relitto della Costa Concordia affidato dal commissario delegato al Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Firenze, che è Centro di Competenza del Dipartimento della Protezione Civile presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. In questa attività, svolta fin dai primi giorni dell’emergenza, il Dipartimento di Scienze della Terra si avvale della cooperazione di altri Centri di Competenza (CNR-IRPI) e altri enti di ricerca (EC-JRC-IPSC, Fondazione Prato Ricerche), che garantiscono il funzionamento di un sistema di monitoraggio strumentale attualmente costituito da due stazioni totali robotizzate, un interferometro radar ad apertura sintetica, uno scanner laser scanner tridimensionale, una telecamera ottica e una termica, un estensimetro ad ancoraggio sottomarino, tre stazioni sismiche a larga banda.
“L’insieme delle tecniche e delle reti di monitoraggio – spiega Nicola Casagli, impegnato insieme a Sandro Moretti, Riccardo Fanti e Filippo Catani – permette di misurare le deformazioni dell’intero scafo, in tempo reale e a larga banda, con precisione ed accuratezza dell’ordine del millimetro.
Tutti i sistemi trasmettono i dati in tempo reale via radio o su rete internet, in modo da costituire un sistema di allertamento rapido a disposizione dell’Osservatorio Ambientale e delle altre strutture commissariali”.
Il Dipartimento di Scienze della Terra ha garantito la sorveglianza continua 24 ore su 24, con emissione almeno quotidiana di bollettini di aggiornamento ad uso anche delle strutture di coordinamento delle operazioni di soccorso e recupero.
“Dopo un anno – prosegue Casagli – è possibile sintetizzare i risultati del monitoraggio che ha avuto inizio alcuni giorni dopo il naufragio e, da gennaio ad aprile 2012, ha mostrato deformazioni intermittenti dello scafo, fino a massimi cumulati di oltre 1,5 m nella zona di poppa, con eventi di accelerazione legati a particolari condizioni meteomarine, durante i quali la velocità di deformazione ha superato anche 1 centimetro all’ora. Da aprile fino alla fine di ottobre 2012 il relitto ha mostrato una sostanziale stabilità, anche in conseguenza del sensibile miglioramento delle condizioni meteorologiche, poi, a seguito della violenta mareggiata del 31 ottobre, ha subito nuove deformazioni – associabili ad uno schiacciamento dello scafo sugli scogli di appoggio – che si sono comunque esaurite il giorno dopo al termine dell’evento”. Dal mese di novembre ad oggi la Costa Concordia è ritornata in condizioni di sostanziale stabilità anche per effetto del completamento degli ancoraggi e degli altri interventi di stabilizzazione messi in opera dal consorzio incaricato delle operazioni di rimozione.
Relazione tenuta l’11 maggio 2017